«Ti voglio benedire ogni giorno, lodare il tuo nome in eterno e per sempre» (Sal 145)

Celebriamo la riconciliazione?

Sul calendario settimanale le varie possibilità.
Normalmente il sabato dalle 16.30 alle 18.00. 

“‘Tu vali ai miei occhi ed io ti voglio bene”

“Prima di essere un cammino dell’uomo verso Dio, la confessione è un ‘irruzione di Dio nella casa dell’uomo” Giovanni Paolo II, Giovedì santo 2002.

 

PREMESSA:

Ogni liturgia è il compimento di una “azione sacra”: l’uomo peccatore/redento incontra Dio che gli offre i suoi grandi doni. Ecco perché non è possibile vivere qualunque sacramento senza una duplice dimensione:

  • LA FEDE: riconosco la presenza del Signore qui, in questo momento.
  • L’ADORAZIONE: il mio atteggiamento è insieme supplica, ringraziamento, richiesta.

Se manca questo profondo atteggiamento “spirituale” l’azione liturgica è come “un corpo senz’anima”.

LE TENTAZIONI DELLA CONFESSIONE

1. IL PROTAGONISMO:

Molte volte penso di·essere io l’agente principale della Confessione. Sono io che faccio i peccati, io che mi pento, io che mi confesso … al Signore spetta solo l’assoluzione (anche se qualcuno pensa che il perdono stesso di Dio si può ottenere semplicemente “mettendosi davanti al Crocifisso”). Il principale protagonista della confessione è invece lo Spirito Santo! E’ lui che suscita nel cuore dell’uomo la “nostalgia” di Dio, il pentimento per il “no” detto al Padre, la fiducia che spinge a chiedere di essere riconciliati con Dio attraverso il ministero della Chiesa.

2. IL FORMALISMO:

Appena commetto un peccato (mancanza grave e volontaria) non devo correre subito al confessionale: devo prima pentirmi del male che ho commesso, devo quindi “convertirmi”! La confessione non è un dispositivo automatico che mi rimette in carreggiata dopo un “incidente di percorso” Se io con un profondo, libero e sincero sforzo interiore non decido di “lasciarmi cambiare il cuore”, la confessione rimane un gesto puramente esteriore.

3. IL PESSIMISMO:

A volte mi sembra inutile tornare a confessarmi: ricado sempre nelle stesse mancanze! Proprio allora la confessione deve diventare un gesto di fede profonda: so che Dio, attraverso Gesù e il suo Spirito, è più forte del male, e per questo non mi arrendo. E’ chiaro, però, che da parte mia devo impegnarmi a resistere contro il male e a impegnarmi a celebrare bene il Sacramento.

 

ALCUNI CONSIGLI PRATICI

  • Prepara sempre l’esame di coscienza. E’ indispensabile il confronto conia Parola di Dio, la “spada a doppio taglio” che giudica i tuoi atteggiamenti e il tuo cuore. Puoi scegliere un brano di Vangelo che ti attira particolarmente, oppure le letture della Santa Messa della Domenica trascorsa.
  • Se possibile scegli sempre lo stesso confessore e impegnati ad una confessione periodica (non quando “ti senti”) . Uno studente che cambi continuamente insegnante difficilmente apprende una difficile materia. Così pure un ammalato che non segua i consigli del suo “medico” di fiducia. Se ti apri al sacerdote confessore e non ti impegni a lasciarti guidare, farai certamente più fatica nel cammino penitenziale della conversione.
  • Impara a confessarti con lo schema della “confessio laudis”. E’ un ottimo metodo per superare le tentazioni del protagonismo e del formalismo di cui ho parlato.
  • Esci dal confessionale con un proposito (una penitenza, un impegno) chiaro. Non puoi cambiare atteggiamenti di vita se ti disperdi su molti fronti. Lasciati aiutare dal confessore e confida neLLa Grazia di Dio. Il tuo impegno – se possibile – si traduca anche in un effettivo impegno a favore di chi ti vive accanto (è la dimensione missionaria di ogni sacramento).

 

IL COLLOQUIO PENITENZIALE

LA CONFESSIO LAUDIS

Diamo alla” confessio laudis” il significato che ha nel latino cristiano di S. Agostino, è il primo momento di un buon colloquio penitenziale. Si riconosce davanti a Dio e davanti alla Chiesa, quindi anche davanti al ministro della Chiesa, in preghiera, i doni che Dio mi ha dato. Questo partire dalla lode di Dio mette l’uomo in condizione di distensione interiore. La confessione non va vissuta semplicemente come un’accusa formale un po’ ansiosa, ma innanzitutto come lode a Dio.

Si invita la persona a ringraziare, a cogliere se stessa sullo sfondo dell’amore di Dio e dei suoi doni ed è curioso come le persone reagiscono facilmente e scoprono sempre qualche cosa per cui ringraziare il Signore. Il peccato non è semplicemente in rapporto a una legge astratta, ma è storia del dialogo con Dio, che parte dall’amore che Lui ci porta, dal bene che Lui ci vuole: allora risalta maggiormente o la corrispondenza o l’ingratitudine.

LA CONFESSIO VITAE

E’ l’accusa dei peccati secondo le leggi della Chiesa e le disposizioni canoniche, vivificate però da una domanda fondamentale che esprimerei cosÌ: “Prova a dirmi dall’ultima confessione che cosa soprattutto le pesa, cosa non vorrebbe ci fosse stato nella sua vita, che cosa non vorrebbe aver commesso, e le causa disagio ed amarezza”. Si tratta di partire da quelle cose che per il penitente sono costitutive della sua fatica ad amare Dio e ad amare il prossimo; e questo perché il peccato sta nel modo in cui l’uomo risponde a Dio. 

Questo non rispondere a Dio ha diversi centri negativi che è bene che la persona riconosca, e, sullo sfondo dei comandamenti di Dio e della Chiesa, possa cogliere gli atteggiamenti fondamentali che sono disdicevoli per la sua dignità di uomo e per il suo cammino verso Dio. Direi di più: in questa luce acquista valore anche una confessione di ciò che uno non vorrebbe che ci fosse in sé, anche se non è immediatamente una colpa ma è la radice di molte delle piccole colpe quotidiane. Parlo di amarezze di fondo che porta con sé, di antipatie, di ferite per ingiustizie ricevute, di malumori con gli altri e con Dio stesso. C’è tanta gente – anche religiosa – che ce l’ha con Dio, ha dei risentimenti e delle delusioni nei suoi confronti, perché il Signore non ha risposto alle proprie attese, perché non si sente aiutata come vorrebbe, perché ha posto certe premesse e non ne ha visto le conseguenze. Ed è bene che questo sentimento emerga: forse non sarà un peccato formale in sé, però è causa di distrazione nelle preghiere, di negligenze nella vita di pietà, nella vita spirituale, di impazienze con gli altri, di stizze, rivalse, ripicche, ambizioni, invidie, che hanno appuntala radice nel cuore, come dice il Vangelo. Non vale tanto confessare le mancanze di pazienza o di carità, se non si trovano le radici più profonde che stanno spesso in inquietudini di fondo.

Forse non vogliamo ammetterlo, ma siamo molto tentati contro la speranza e contro la fede. La nostra fede è languida, debole: accanto all’uomo credente sopravvive in noi l’incredulo con i suoi ragionamenti, con tutte le sue ipotesi esplicative.

La “confessio vitae” ci invita a mettere davanti a Dio il nostro io incredulo, scettico, razionalista, che ha mille segrete simpatie col peccato, con la colpa, con l’invidia, con la sensualità, che è la fonte di tutte le forme deteriori, che magari reprimiamo oppure copriamo con un velo di inibizione, e che poi, non essendo medicate a fondo, rimangono la causa latente di tanti atteggiamenti negativi, di scoraggiamento, di poca voglia, di negligenza generica.

La “confessio vitae”, se è fatta nelle mani della Chiesa, nel cuore della Chiesa e se è fatta regolarmente con una persona che ci comprende a nome della Chiesa, ha il valore di una medicazione spirituale, o, meglio, prelude alla medicazione spirituale, che è poi opera della “confessio fidei”.

LA CONFESSIO FIDEI

La “confessio fidei” è il riconoscere che noi da soli non possiamo migliorarci: è Dio che ci salva. Se ci accostiamo alla confessione è perché Dio faccia ciò che noi non siamo capaci di fare. La “confessio fidei” è la proclamazione: “credo, Signore, che tu puoi salvarmi”; è la richiesta di perdono: “perdona, Signore, il mio peccato”: non una richiesta di perdono semplicemente giuridico o formale, ma la richiesta di quello Spirito Santo che è “remissio peccatorum”; è il togliere non soltanto la realtà del peccato ma anche il peso del peccato nella vita.

Si invoca lo Spirito Santo come Colui che è la remissione dei peccati, con disposizioni di fede che fanno entrare nel vivo del sacramento e diventa così una partecipazione all’azione salvifica di Gesù nella Pasqua. E’ la Pasqua di Gesù che ci raggiunge nel sacramento della Penitenza: la stessa Pasqua che, come forza unitiva e formatrice della carità, ci raggiunge nell’Eucarestia.

Domandiamoci, dunque, se è regolare l’uso del sacramento della Penitenza, se cerchiamo di avere un confessore stabile, un direttore spirituale; se cerchiamo veramente di farci aiutare nelle difficoltà, sottoponendo al sacramento della Penitenza anche l’intimo di noi stessi, nelle motivazioni di fondo.

(Cardinale Carlo Maria Martini)